giovedì 30 ottobre 2008

IN ORBITA C’È UN’IMMENSA DISCARICA PERICOLOSA E DA BONIFICARE

Un barese a caccia di rifiuti spaziali
Sgobba premiato da NASA e ESA

• BARI - Lo spazio? Sta diventando un’immensa discarica di rifiuti. In orbita secondo gli scienziati, ci sono almeno 300mila detriti spessi più di un centimetro. Relitti, pezzi di motori, vecchi serbatoi, bulloni, lamiere, carburante radioattivo e addirittura la macchina fotografica perduta dagli astronauti della Gemini 10 nel 1966.
E questa «Napoli in assenza di gravità», aumenta anno dopo anno. A febbraio gli americani hanno distrutto un satellite spia (Us 193) in avaria, colpendolo con un missile lanciato da una nave. E nello spazio si sono affacciate anche due superpotenze, Cina e India.
Per avere un’idea dei rischi a cui sono sottoposti astronavi e astronauti, basta dare un’occhiata a questi esempi. Se un frammento di pochi millimetri colpisse una zona critica dello Shuttle, si potrebbe creare un’altra tragedia simile a quella della navicella Columbia del 2003. La stazione spaziale in orbita è attualmente protetta per urti con corpi estranei fino ad un centimetro e l’eventuale collisione con un frammento di un chilogrammo, equivarrebbe a quello di un Tir che si schianta a 190 chilometri orari contro un’auto.
Ad occuparsi di sicurezza spaziale, l’Esa, l’agenzia europea, ha incaricato un barese, Tommaso Sgobba, presidente dell’Iaass, l’associazione internazionale che studia rimedi e interventi. Sgobba, dal 1989 in Olanda, è stato il punto di riferimento, tra l’altro, di tutte le principali missioni con equipaggio europeo dello Shuttle e della stazione Mir. Per la sua attività lo scienziato barese ha ricevuto anche due prestigiosi riconoscimenti, dalla Nasa e dall’Esa, una specie di «Oscar» del settore.
Per Sgobba il problema è la mancanza di regole internazionali che disciplinano l’utilizzo dello spazio: «Le incompatibilità nelle navicelle spaziali di paesi diversi sono enormi. Penso ai portelloni, che hanno modalità di attracco diverso, alle prese elettriche non compatibili; se un astronauta cinese fosse in difficoltà e “bussasse” alla Stazione spaziale, ci sarebbero seri problemi per aiutarlo».
Di qui l’importanza del monitoraggio della concentrazione dei detriti spaziali: «La situazione potrebbe diventare incontrollabile in un futuro non tanto lontano, soprattutto per i voli umani. Oggi abbiamo la conoscenza sufficiente per ripulire lo spazio delle orbite basse, attraverso procedure di rientro controllato. Sarebbe ora di agire».

Gaetano Campione
“La Gazzetta del Mezzogiorno” – 30/10/2008

venerdì 24 ottobre 2008

GRANDE TOTÒ
UN SORRISO PIENO DI MALINCONIA

«Sol chi non lascia eredità d'affetti poca gioia ha nell'urna; e se pur mira dopo l'esequie, errar vede il suo spirito fra 'l compianto dè templi acherontei o ricovrarsi sotto le grandi ali del perdono d'Iddio; ma la sua polvere lasciata alle ortiche di deserta gleba ove né donna innamorata preghi, né passegier solingo oda il sospiro che dal tumulo a noi manda Natura». Ugo Foscolo da «I sepolcri» (v.v. 41 - 50). Caro Totò, il prossimo 15 aprile sono quaranta lunghi anni che sono ormai trascorsi da quel infausto sabato 15 aprile 1967 quando tu «Principe del sorriso» volasti in cielo per un attacco alle coronarie, nel tuo appartamento sito a Roma in Viale Monto Parioli n° 4.
Nascesti domenica 7 novembre 1897 e non si saprà mai se ad Avezzano (L'Aquila) o al quartiere della Sanità a Napoli in via Santa Maria Antesaecula n° 109, perché eri figlio di ragazza madre. Sarai denunciato martedì 15 febbraio 1898 con il nome di Antonio e il cognome Clemente, quello di tua madre. Lei, infatti, si chiamava Anna Clemente. Sarai riconosciuto da tuo padre solo nel 1921, anno in cui tua madre sposerà il principe Giuseppe De Curtis, il quale ti riconoscerà come suo figlio naturale e in seguito nel 1933 un altro nobile, il narchese Francesco Maria Gagliardi ti adottava trasmettendoti i suoi titoli gentilizi.

DALL'IMPERO DI BISANZIO – Ingaggiasti esperti di araldica, avvocati e consulenti vari e arrivasti alla conclusione che i De Curtis erano gli eredi diretti degli imperatori di Bisanzio con una nobilità che risaliva al 362 avanti Cristo. Successivamente con sentenze tutte passate in giudicato dell'aprile 1945, del luglio 1945,, dell'agosto 1946 e del marzo 1950 ottenesti, da diversi tribunali della Repubblica Italiana, il diritto a fregiarti dei nomi e dei titoli di Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del Sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cilicia, di Tessaglia, di Ponto, di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e di Durazzo.
Hai girato, nella tua carriera cinematografica, ben 98 film. Il primo fu nel 1937 e si intitolava «Fermo con le mani». Regia: Gero Zambuto; soggetto: Guglielmo Giannini; sceneggiatura: Zambuto, Giannini; interpreti: Totò (Totò il vagabondo), Erzy Paal, Tina Pica, Oreste Bilancia, Franco Coop, Nicola Maldacea; produzione: Titanus. Il primo film a colori in Italia fu tuo: «Totò a colori», produttore Ponti - De Laurentis Cin.ca, Giovanni Amati per Golden Film (1952); regista Steno; soggetto Steno da "sketches" di riviste di Michele Galdieri e Totò; sceneggiatura Steno, Mario Monicelli, Age (Agenore Incrocci) e (Furio) Scarpelli; fotografia Tonino Delli Colli; musica Felice Montagnini. Interpreti Totò (maestro Antonio Scannagatti), Isa Barzizza (la signora del vagone letto), Rocco D'Assunta (il cognato siciliano), Virgilio Riento (il maestro Tiburzi), Mario Castellani (l'on. Cosimo Trombetta), Luigi Pavese (l'editore Tiscordi), Franca Valeri (la signorina snob), Galeazzo benti (uno degli esistenzialisti di Capri), Fulvia Franco (la sua fidanzata), Anna Vita (una esistenzialista), Alberto Bonucci (il regista sovietico), Armando Migliari (il sindaco di Caianello), Vittorio Caprioli (il tenore balbuziente), Bruno Corelli (Joe Pellecchia), Guglielmo Inglese (il giardiniere), Rosita Pisano, Michele Malaspina (il sindaco), Carlo Mazzarella (il fidanzato della signorina snob), Lily Cerasoli (un'altra esistenzialista), Barbara Florian, Manuel Serrano, Nancy Clark, Mimmo Poli, Silvana Blasi, Riccardo Antolini, Paolo Ferrara, Ugo D'Alessio, le marionette di G. e A. Greco.

L'ULTIMO ESAURITO – Rilevante pure la tua partecipazione sia in teatro che in televisione. In teatro hai fatto la tua comparsa ben 32 volte. La prima volta fu nel 1913-14 con il debutto nel varieté nei teatrini napoletani attorno alla ferrovia, con lo pseudonimo di Clerment. In televisione sei apparso in «Tutto Totò», serie a cura di Bruno Corbucci, con la regia di Daniele D'Anza, in parte sulla base di vecchi copioni teatrali interpretati da Totò, in parte con episodi scritti appositamente. La serie finita di girare lunedì 10 aprile 1967, cinque giorni prima della tua morte, è stata trasmessa settimanalmente tra giovedì 4 maggio e giovedì 6 luglio 1967.
Memorabile fu l'orazione funebre pronunciata per te da Nino Taranto nella basilica del Carmine Maggiore al Quartiere Mercato a Napoli. «Amico mio, amico mio, non è un monologo questo, ma un dialogo perché sono certo che tu senti e rispondi. La tua voce è nel mio cuore, nel cuore di questa Napoli c he è venuta a salutarti, a dirti grazie perché l'hai onorata, perché non l'hai dimenticata mai, perché sei riuscito, dal palcoscenico alla vita, a scrollare di dosso quella cappa di malinconia che l'avvolge. Tu, amico mio, hai fatto sorridere la tua città, sei stato grande, le hai dato la gioia, la felicità, l'allegria di un'ora, di un giorno, tutte cose delle quali Napoli ha tanto bisogno. I tuoi napoletani, il tuo pubblico sono qui. Hanno voluto che il loro Totò facesse a Napoli l'ultimo "esaurito" della sua carriera e tu, maestro del buonumore, questa volta ci stai facendo piangere tutti. Addio, Totò, addio amico mio. Questa Napoli, questa tua Napoli affranta dal dolore vuole farti sapere che sei stato uno dei suoi figli migliori e che non ti scorderà mai. Addio Totò, addio».
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Tito Colavito
“La Gazzetta del Mezzogiorno” – 17/10/2008

lunedì 20 ottobre 2008

CINEMA, AMORE MIO
ECCO COME NACQUE A BARI


Il 1° marzo 1895, i fratelli Lumière presentarono «Arroseur er arrosè» durante la loro prima proiezione: brevi scene di un ragazzo che si prendeva gioco di un giardiniere, calpestando la canna con cui stava annaffiando. Scherzi di questo tipo rappresentavano il cinema delle origini. La maggior parte dei film era composta da una sola inquadratura, la macchina da presa era sempre tenuta nella stessa posizione, e l’azione si svolgeva nel tempo di un’unica ripresa.
Nel 1899, i produttori cominciarono a realizzare film con diverse inquadrature. A Eugène Promio si attribuisce l’invenzione del movimento di macchina: le cineprese erano sorrette da treppiedi fissi che non permettevano alla macchina di ruotare o effettuare panoramiche. Al cinematografo, si poteva vedere sopra un lenzuolo bianco l’immagine della persona camminare, saltare e fare tante altre mosse svelte o lente, spiritose o sciocche. Non erano più le marionette, ma un locale oscuro ed improvvisato che destava maggiormente l’attenzione.

DIECI MINUTI COL PIANOFORTE – A Bari, in via Sparano, il fotografo Fiorese aprì un primo locale, dando una rappresentazione che durava appena dieci minuti e che faceva vedere un tuffo, un salto, l’andare avanti ed indietro di una persona o di un animale e qualche scherzetto. Ma quelli non erano dieci minuti ma un secolo. Ma la prima sala cinematografica fu il cinema «Argiro», sito in via Argiro angolo via Piccinni. Inaugurato il 1907, i suoi impresari furono Giacinto De Rosa e Mario Sortino. Seduti si pagava quattro soldi e in piedi due, oltre ai posti distinti il cui prezzo era di sei soldi. Un pianoforte accompagnava la rappresentazione per tutta la durata, e spesso era il povero maestro che passava i guai quando la pellicola si spezzava più volte, mentre si era all’oscuro (la luce elettrica non era diffusa ed era sostituita dal gas).
Max Linder era l’attore che faceva divertire di più, insieme a Cretinetti e Polidoro per la farsa finale. I primi cassieri del cinema furono Giuseppe Montone e Nicola Fiore. Con i bigliettai collaborarono i macchinisti Martire Cincinnato, Chillino e Arciuli, molto orgogliosi del loro lavoro. Il pubblico barese di quell’epoca era semplice, ingenuo, docile e chiassoso. Per queste ragioni i grandi signori di quel tempo la sera, prima o dopo il loro trattenimento al caffè Stoppani o alla birreria Civadda andavano a trattenersi al cinema.
La prima agenzia per la distribuzione della pellicola, fu tenuta dal commendatore Riccardo L’Eltore, con sede in via Calefati, e la prima casa produttrice italiana fu la Cives di Roma. Verso il 1911, sulla stessa via Piccinni, angolo via Cavour fu aperto un cinema-varietà chiamato «Il Parigino», dall’origine del proprietario che veniva dalla Francia, ma che nellka parlata sembrava un napoletano o un barese. Questo cinema per la strettezza dei locali dovette chiudere presto. A corso Vittorio Emanuele si aprì un altro cinema che prese il nome di «Mondiale». L’importanza del cinema era data dal metraggio più che dal soggetto.. Verso il 1909 una commissione di benestanti, sul lato di mare che si trova di fronte a corso Vittorio Emanuele, chiuso da un lato dalla sede dei Pompieri e dall’altro dal giardino Margherita, costruì un grande cinema su palafitte che durò tre anni perché, per cause imprecisate, una sera del 1912 bruciò interamente.
La sera prima dell’incendio la famosa soubrette Tecla Scarano aveva dato uno spettacolo per festeggiare la sua serata d’onore, che fu un vero trionfo. Al principio del 1912 si aprirono diverse sale: il «Trianon», in mezzo al largo Botanico; il cinema «Cavour» in via Cavour angolo via Principe Amedeo; il «Savoia» via Cavour angolo via Putignani e il «Lux» sulla via Calefati, tra via Melo e via Argiro. Questi ultimi due gestiti da Giacinto De Rosa e il socio Fiorese resistettero poco. Il «Cavour» di Gaetano Carbone durò più a lungo finché fu costruito un cinema in legno, l’«Oriente», con l’ingresso sulla via De Giosa.

L’OCCUPAZIONE ALLEATA – All’inizio del 1919 fu creato il cinema «Umberto» tra via Crisanzio e Niccolò Dell’Arca. Verso il 1929 fu inaugurato un cinema-varietà col nome «Eden». Nella sala cinematografica del «Margherita», la domenica alle 10 c’erano le matinèe che riempivano il cinema di studenti, soprattutto delle medie superiori. Il più popolare era il cinema «Umberto». Il biglietto costava una lira, mezza lira per militari e ragazzi. Si proiettavano tutti i film di Tom Mix, qualche volta colossi come «Ramona». Le poltroncine erano di metallo e legno con il sedile mobile. Con l’occupazione alleata fu quel cinema a riaprire per prima con i film americani ancora in lingua originale correlati di didascalie o doppiati in lingua italo-americana. Per lo spettacolo della sera al cinema ci si vestiva con eleganza.
Tutto quello che è accaduto è degno di memoria, sia nel bene che nel male. Comunque il mito del grande schermo e l’atmosfera di una sala cinematografica non è minimamente paragonabile a quella di un televisore. I moderni Dvd superano le antiche «pizze» solo per modernità ma non per il fascino.
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Tito Colavito
“La Gazzetta del Mezzogiorno” – 03/10/2008