sabato 10 ottobre 2009

La fortuna del ferroviere

------Era all'alba che il caffé "notte e giorno" di via De Rossi si riempiva di clienti. Entravano infreddoliti, nel mese umido di novembre già presago del freddo dicembre vicino: erano ferrovieri, marinai, artigiani, operaie della ditta Larocca, pomodori, baccalà, pesche sciroppate. Avevano ancora sul viso il sapore del sonno, l'odore delle case dalle quali venivano e quell'aria incantata del primo mattino.
------Il caffé odorava di rosolio, di rum, di "sussurri", tazze di caffé lunghi tonificati dai liquori d'arance, limoni, mandarini. I ferrovieri portavano i loro berretti ben calati sulla testa, i loro cappotti incerati nei quali sembravano sepolti per vincere il freddo delle strade, delle stazioni, dei treni.. Erano gran narratori dei loro viaggi, delle loro locomotive, della pesantezza del lavoro. Il fuochista si lamentava di mettere per ore e ore, palate e palate di carbone nella bocca del focolare per avere sempre sotto pressione la caldaia a vapore. Quando non andava in ferrovia, vestiva lindo e pulito ma a guardarlo bene c'erano sul viso ancora segni neri, l tracce di carbone che il sapone marsigliese, pur usato in abbondanza, non riusciva a detergere. Sognava di poter guidare lui il locomotore, si era stancato di mettere sempre carbone, al massimo il macchinista gli gaceva tirare la corda del lungo sibilante fischio del treno. Aveva gran rispetto però per il suo capo, un gran pezzo d'uomo, un gigante, quasi come la possente locomotiva, affidata alle sue forti mani.
------Raccontava che era felice, quando, sul cavalcavia di Corso Cavour, vedeva aspettarlo tanti bambini ammalati di pertosse. Era convinzione allora che quel malanno si curava con il fumo del treno. E gli ammalati, e i loro familiari, asndavano ad appostarsi dove passavano i ten. Con il freddo intenso o il caldo sole, con la pioggia fitta o la neve lenta, quei ragazzini s'appollaiavano sui ponti, sui cavalcavia, nei luoghi dove il vapore dei lunghi convogli li avvolgeva nel suo candido sprigionarsi.Il macchinista, alla loro visita, ce la metteva tutta, per rallentare la velocità del treno e scaricare quanto più vapore poteva: per fasciare, nel salutare toccasana, i ragazzi annidati su quei passaggi obbligati. Erano tutti avvolti in scialli e sciarpe e mantelli, i genitori e i nonni accanto; e il macchinista a svuotare tutto il vapore possibile per aggomitolarli in quella nebbia acquosa e salvifica. Poi quando il treno riprendeva la velocità, dal ponte ragazzi e familiari con sciarpe e cappotti, braccia levate in alto, salutavano il ferroviere che aveva dato loro tanto fumo. ------Il fuochista, quello sempre sporco di carbone, diceva di sì, il suo capo era bravo e buono, ma aveva anche un culo grosso così. La gente del caffé storceva un po' la bocca a sentire quelle parole sboccate; ma quasi tutti erano coinvolti in quelle pettegole chiacchiere di primo mattino, la giornata forse doveva essere pesante, e un po' di pettegolezzo non faceva certo male. La fortuna del suo macchinista era quella di far arrivare i treni sempre in orario. Dieci minuti di ritardo? Mai sia, signore. E nemmeno un minuto, manco un secondo: il suo treno, all'ora stabilita, era immancabilmente in stazione. No, non era fortuna, non era nemmeno l'organizzazione ferroviaria del tempo che faceva arrivare il convoglio in orario. Lui aveva inventato un marchingegno, un aggeggio che aveva costruito se stesso. I ferrovieri, diceva, sono bravi, bravissimi, ma lui era superbravo. "Noi prima di entrare in ferrovia - diceva - dobbiamo fare il "capolavoro", la prova cioè che deve dimostrare l'abilità e la prontezza dell'aspirante". Quando quel macchinista affrontò la prova, fece un cosa, ma una cosa, una cosa così grande che... Tutti allora domandavano che cosa avesse fatto. Il fuochista rimaneva un po' perplesso, poi esclamava: "Buh!". E un'irrefrenabile risata scoppiava nel caffé pieno di gente.
------Il fuochista continuava però ad affermare che, proprio per il suo geniaccio, il suo capo aveva inventato chissà quale diavoleria: la inseriva al momento opportuno e la locomotiva acquistava quella velocità necessaria a farle superarwe i ritard. Era in gamba, quel macchinista-inventore. Una volta lui aveva messo sossopra la locomotiva, ma non aveva scoperto cosa era quell'invenzione che faceva arrivare il treno sempre in orario.E concludeva: "Era anche questione di...", e ripeteva la parola che scandalizzava i mattinieri frequentatori del caffé "notte e giorno".
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Vito Maurogiovanni - "La Gazzetta del Mezzogiorno" del 13 novembre 2006

1 Commenti:

Alle 9 gennaio 2010 alle ore 17:42 , Anonymous measumma ha detto...

vomedlbuon anno Paola (su splinder non mi prende il commento).
Ma è barese quello che hai scritto? o albanese?

 

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