mercoledì 25 marzo 2009

Cristo si è fermato a Eboli per non fare la Salerno-Rc
di Giuseppe De Tomaso

Sapete perché Cristo si è fermato a Eboli? Per non fare la Salerno-Reggio Calabria. La battuta può sembrare irriverente e blasfema. Ma sorge spontanea dopo aver patito una coda di tre ore a causa dei lavori iniziati dopo la caduta di una frana all’altezza di Pizzo Calabro. Già in condizioni normali raggiungere il capoluogo calabrese non è agevole. Figurarsi in situazioni d’emergenza. L’alternativa Jonica, poi, è una sorta di gimkana tra paesi e paeselli intervallati da strade affollate di semafori e di multifici: superare i 50 chilometri l’ora è un azzardo per il portafogli, visto che gli autovelox sono più numerosi degli aranceti. Morale: approdare a Reggio partendo da Bari, percorrendo la Jonica e schivando le insidie dei controlli di velocità richiede un arco di tempo di circa otto ore. Si fa prima a raggiungere New York. Dovrebbe andare meglio, almeno in teoria, optando per la Tirrenica, che corrisponde alla Salerno-Rc. Ma se la Salerno-Reggio è un’autostrada, allora Carla Bruni è una befana: una palese bugia. Cantieri infiniti, carreggiata stretta, corsie d’emergenza a rate: sulla Sa-Rc non ci si fa mancare nulla per rendere il viaggio degli automobilisti verso Reggio più faticoso di un calvario. Tanto che gli automobilisti non sanno che imbocco prendere fra la strada Jonica e l’autostrada Tirrenica: in ogni caso la fregatura è assicurata. Domanda: quale sviluppo può partire in una regione, i cui collegamenti non sono migliorati molto rispetto ai trasporti-choc denunciati nell’inchiesta del 1877 condotta da due politici giornalisti come Sidney Sonnino (1847-1922) e Leopoldo Franchetti (1847-1917)? Certo, ora c’è qualche strada in più, ma, in termini reali, il dislivello infrastrutturale tra la regione più povera dello Stivale e il resto del Paese, probabilmente è aumentato. Per non parlare del gap nei redditi, che non tende a ridursi nonostante la Cassa per il Mezzogiorno e tutti gli altri interventi straordinari, che di straordinario avevano ben poco visto che a malapena assicuravano l’ordinario. Rispetto alla Calabria, la Basilicata e la Puglia fanno la figura della Lombardia. Anche sul piano urbanistico e architettonico, Puglia e Calabria rappresentano due Sud diversi. L’edilizia pugliese non è un inno ai maestri della pietra e delle costruzioni, ma non è nemmeno quello strazio estetico-urbanistico che mortifica le coste e l’entroterra calabresi. Altro che 20-30 metri in più di cubatura, come prevede il piano Berlusconi per riaccendere il mercato delle abitazioni. In Calabria bisognerebbe abbattere il 70-80 per cento degli edifìci, bisognerebbe progettare e realizzare palazzi ex-novo. Solo così si potrebbe consegnare la regione dei Bronzi di Riace all’unico turismo che porta soldi e sviluppo: quello culturale, di rango e d’élite. Ma questo, sbotterebbe il generale Charles De Gaulle (1890-1970), è un programma vasto e ambizioso. Il bello, cioè il brutto, è che nessuno investe denari in Calabria, a parte gli sportelli pubblici di Roma e del posto. Non investono quattrini neanche i calabresi che hanno fatto fortuna e miliardi al Nord, come i Versace. Neppure i clan della ‘ndrangheta dirottano i loro strepitosi guadagni nella terra d’origine: e pensare che nella storia del capitalismo non è trascurabile la fetta di accumulazione che dopo l’esordio nell’illegalità criminosa ad un certo punto decide di compiere il grande passo verso la legittimazione sociale e la legalità. Chi erano i grandi del capitalismo Usa, i Vanderbilt o i Rockfeller, se non dei signori senza scrupoli le cui origini «imprenditoriali» farebbero arrossire anche le facce più scafate?In Calabria, invece, non si muove nulla, o si muove pochissimo. E pensare che questa regione richiamerebbe più visitatori della Spagna, visto che - come ricorda Marcello Veneziani nel suo ultimo libro Sud, edito da Mondadori -, al Nord si va per necessità, mentre nei meridioni del mondo si va per scelta, perché i Sud sono più belli, perché sono baciati dal sole e magnificati dalla luce. Al naturale la Calabria è irresistibile: una perla di mare e monti. Un incanto. Ma anche alla terra di Corrado Alvaro (1895-1956) si addice la struggente definizione appioppata da Benedetto Croce (1866-1952) alla sua splendida e disperata Napoli: «Un paradiso abitato da diavoli». La Calabria: un paradiso affollato di persone - da una certa classe politica collusa ad una società civile spesso tendente all’incivile - refrattarie alla cultura della legalità, che, si sa, sta allo sviluppo economico come la benzina sta all’automobile. Infatti senza il carburante della legalità nessun territorio può partire. Ma torniamo a bomba. Il Ponte di Messina va bene. Ma sullo Stretto bisogna pur sempre arrivarci. Forse sarebbero altrettanto urgenti altre opere, a cominciare dall’autostrada Taranto-Reggio, abortita alla «barriera» di Palagiano. Così come la Salerno-Reggio andrebbe ammodernata e, prima di tutto, sottratta alla lottizzazione delle cosche. Reggio Calabria sta cambiando, ha un sindaco dinamico e la Reggina gioca pure in serie A. Ma è troppo poco per assolvere la regione fanalino di coda (!) d’Europa. Né può tacitare le coscienze più inquiete l’inserimento del capoluogo reggino tra le 10 prossime città metropolitane. I poltronifìci non hanno mai generato ricchezza.
giuseppe.detomaso@gazzettamezzogiorno.it
25/3/2009

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