venerdì 31 luglio 2009

 
Così muore un teatro
Dov’era l’Abeliano ritorna un capannone
Le signore della pulizia spazzano in silenzio, alcuni operai portano via gli ultimi arredi del teatro Abeliano. Quella che era la sede adesso è irriconoscibile. Resta una sorta di scheletro, fatto di muri, nere capriate, un buco dal diametro di alcuni metri nel centro del palcoscenico.
Insomma, il teatro Abeliano, dopo 32 anni, non c’è più nella sua sede storica. E stamattina, alle 10,30, davanti all’ingresso, il presidente del teatro Abeliano, Vito Signorile, consegnerà le chiavi ai proprietari. Contestualmente, saranno restituite alla cooperativa Gruppo Abeliano le diciotto mensilità anticipate più una quota relativa alle migliorie che sono state apportate ai locali di quello che un tempo era un capannone, un deposito di frutta. Il tutto per un totale di 70mila euro.
Vito Signorile, raggiunto in provincia di Brindisi, a Mesagne, dove sta girando un film con Sergio Rubini, spiega: «Abbiamo portato via l’attrezzatura teatrale, abbiamo smontato i pannelli resistenti al fuoco – spiega Signorile – le porte tagliafuoco, le strumentazioni della cabina di regia e tutto il palcoscenico».
Sfratto per finita locazione: questa la motivazione. Già due anni fa fu notificato lo sfratto e dal magistrato il teatro Abeliano ottenne una proroga per restare, in quella sede, per un altro anno. «Speravamo in una ulteriore proroga - dice Vito Signorile – ma non c’è stato nulla da fare. Abbiamo vissuto momenti molto difficili e, per fortuna, il sindaco, la Provincia e altri teatri ci hanno dimostrato solidarietà»
Al teatro Piccinni, infatti, sarà ospitata una parte importante della stagione, la «Actor» e altre rappresentazioni si terranno nel nuovo teatro Forma, in quello dell’anonima GR e nell’auditorium del polivalente di Japigia. Insomma, tutta la programmazione è salva. Ma già si dovrebbe pensare al dopo, fra un anno. «Partirà, come le istituzioni hanno annunciato – spiega Signorile – una sottoscrizione volontaria, che potrebbe mettere insieme pubblico e privato, per realizzare un nuovo teatro. Abbiamo chiesti di individuare un suolo pubblico per la nuova sede – dice Signorile -, possibilmente a Poggiofranco. Sa, la gran parte dei nostri mille abbonati vive fra Carrassi e Poggiofranco e trovare una sede da quelle parti è per noi importante e strategico. Domani (oggi, per chi legge, ndr) restituiamo le chiavi al proprietario: la scadenza prevista era per il 31 luglio, con una penale prevista per ogni giorno di ritardo di ben 1.500 euro. Anticipiamo di un giorno e chiudiamo questa situazione che non è certo piacevole».
I vari pannelli ignifughi, i sipari e le poltrone autoestinguenti, saranno in gran parte adattati al nuovo teatro. La speranza è che gli enti locali diano una mano, che l’eventuale raccolta di fondi si faccia presto e vada a buon fine. Altrimenti un buon esperimento culturale rischia davvero di morire.
Resta da vedere quale sarà il futuro della ormai ex sede del teatro. La destinazione urbanistica prevedeva l’abbattimento di quel capannone per realizzare un’area a verde. Ma 32 anni fa fu sottoscritto un atto di sottomissione con il Comune, tuttora valido, che prevedeva la trasformazione del capannone in teatro. Qualora l’ente locale avesse deciso di realizzare il verde, avrebbe potuto far abbattere il teatro senza che proprietari né gestore potessero opporsi.

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Manlio Triggiani - "La Gazzetta del Mezzogiorno" del 30 luglio 2009

domenica 5 luglio 2009

Addio signor Murat
cambia pelle la tua città

aaaaNella metamorfosi del quartiere murattiano, che iniziò prestissimo e non s’è mai fermata, registriamo una sostituzione edilizia che sta avvenendo in questi giorni. Demoliti due fabbricati degli inizi del Novecento, l’impresa Contemporanea di Gravina sta costruendo un nuovo palazzo, in via De Rossi 203 e 205. Erano due edifici di mediocre fattura, con i prospetti privi di cornici o fregi e intonaci (come sarebbe nel carattere autentico del Murattiano) e poi dipinti a calce, di colore giallo e poi rosso. Al posto dei due livelli prima esistenti, chiusi tra alti palazzi degli anni Settanta e altre sopraelevazioni, sta per essere costruito un palazzo di 5 piani oltre il piano terra, alto 20 metri, il massimo che le norme tecniche del piano regolatore consentono nel Murattiano. E che rendono irrealizzabili tutti i 7 metri cubi per metro quadrato consentiti dall’indice di fabbricabilità nella zona, ma l’operazione appare ugualmente remunerativa, in un mercato immobiliare che con i suoi prezzi si fa beffe della crisi economica.
aaaaPer questo l’unico prospetto “deve avere una importanza” che i progettisti, l’ingegnere Maurizio Passannanti e l’architetto Giuseppe Cirillo, vanno a cercare soprattutto nella scelta dei materiali. “L’intonaco appare assai povero per una costruzione di pregio in una zona di pregio – dice Passannante -. Abbiamo, perciò deciso di rivestire la facciata con il Biancone di Trani, in lastre di grandi dimensioni. La pietra di Trani è un materiale bellissimo – spiega -, è il nostro materiale da costruzione per eccellenza”. A variegare la superficie di pietra, altri due o tre materiali. Il vetro, per gli infissi, l’acciaio inox per le cinque paraste che dal suolo raggiungeranno il grosso cornicione di coronamento, separando le teorie di balconi dotati di ringhiera o con parapetti ciechi (ma il progetto è ancora in evoluzione, alluminio bianco o grandi lastre di pietra per rivestire i parapetti?).
aaaaDall’ingegnere Passannante veniamo a sapere che la superficie lapidea sarà resa ruvida, forse con rigature verticali, come nel palazzo Andidero (progettato da Petrignani) in via Venezia. Ma più facilmente sarà bocciardata, dice il progettista ignorando – nell’accostamento di pietra e metallo – un importante precedente, a pochi isolati dal suo cantiere. Era il 1964 quando l’architetto Vito Sangirardi terminava di costruire in via Cairoli la sede del Banco di Napoli, rivestendo la facciata con la pietra di Risceglie trattata con la bocciarla fine e ricoprendo i pilastri con l’alluminio dorato.
aaaaLa città genera costantemente una immagine di sé e per far questo contraddittoriamente muta e conserva la propria identità, cui appartiene anche la pelle degli edifici, con i suoi odori e i suoi materiali. Trasformazioni che sono indotte talvolta anche da un conformismo culturale, come – a queste latitudini – il rivendicare alla pietra un ruolo di prim’attore. L’ingegner Passannante ha al suo attivo la costruzione recente di fabbricato, sempre nel Murattiano, in via Melo 10 – 14. Anche in quel caso si è trattato della demolizione e sostituzione di un edificio d’epoca e non sono mancate le timide resistenze da parte dell’Ufficio Tecnico del Comune. In via Melo ancora alluminio e vetro per i balconi, ma travertino romano invece che calcare tranese per rivestire il basamento. A guardare il precedente non c’è da entusiasmarsi per quel che annuncia in via De Rossi: nessun guizzo d’invenzione né voglia di leggere il contesto di un linguaggio contemporaneo. Per spiegare cosa intendiamo, chiamiamo in causa i Moodmakers, giovani progettisti baresi che nel 2002 spinsero l’allora assessore Donato Bosco a lanciare l’allarme per i pericoli – per la salvaguardia della città storica – nascosti nella urbanistica delle procedure ultraveloci, quella della SuperDia che non attende autorizzazioni
aaaaPietra dello scandalo fu, appunto una sostituzione edilizia in via De Giosa 101-103. Un fabbricato per abitazioni da costruirsi sulla demolizione di una fatiscente testimonianza del Murattiano. Come vuole la norma (la SuperDia) il nuovo palazzo – ultimato nel 2004 – ripete sagoma e volumertria del vecchio, ma la sua architettura è dichiaratamente contemporanea. I progettisti (Marcello Mininni, Filippo Capodiferro, Giuseppe De Giosa e Marica Laperchia) hanno lavorato con consapevolezza sulla materia della storia, riconoscendo e riproponendo i caratteri essenziali di un edificio murattiano, fra i quali sul prospetto la differenza tra un basamento di pietra e una facciata superiore intonacata. La traduzione con un vocabolario d’oggi in questa “regola” ha dato luogo a slittamenti di senso della materia: travertino color noce è stato scelto per rivestire piano terra e primo piano mentre ai livelli superiori una pelle di alluminio in pannelli ondulati che lasciano intravedere la superficie sottostante intonacata. Traccia discreta di una storia del costruire più onesta che “povera”.
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Nicola Signorile – “La Gazzetta del Mezzogiorno” dell’01 luglio 2009